能面 NOH: Il TEATRO GIAPPONESE e LE sue MASCHERE...
Continuiamo a parlare di teatro anche se con il nostro carnevale centra poco se non per via dell'uso delle maschere. Assistere a una rappresentazione teatrale giapponese ha un fascino particolare. A eccezione del "Miyako Oodori" ovvero le danze di primavera dove le apprendiste Maiko si presentano alla società, il teatro Noh mantiene ancora un aspetto arcaico oltre che tradizionale.
Abbiamo assistito ad alcuni spettacoli in Giappone e per l'occasione dell'anniversario del gemellaggio tra la città di Milano e quella di Osaka siamo stati invitati all'evento tenutosi al Teatro Parenti qui a Milano. Dato che non potevamo ancora andare in Giappone abbiamo potuto apprezzare anche qui quest'arte antica. Gli attori di Osaka sono stati superbi.
La prima volta, lo ammettiamo, risulta al quanto ostica, ma prima di raggiungere metà della storia, capisci quanto sia affascinante e quante sensazioni riesce a evocare questo tipo di rappresentazione.
La scena è molto semplice e ridotta all'essenziale. La rappresentazione ha luogo su un palco fatto di Hinoki (cipresso giapponese). Il palcoscenico è completamente vuoto a parte il "kagami-ita", un dipinto di un pino, realizzato su un pannello di legno, posto sul fondo del palco. Ci sono molte spiegazioni possibili per la scelta di questo albero, ma una tra le più comuni è che simboleggia il mezzo con cui le divinità scendevano sulla terra, secondo il rituale shintoista.
In contrasto con il palco completamente disadorno, i costumi sono estremamente ricchi. Molti attori, in particolari quelli Shite (primo attore), sono vestiti con abiti di broccato di seta.
Gli attori, per salire alla ribalta, percorrono una passerella posta a sinistra del palcoscenico detta Hashigakari. Questa soluzione fu poi trasposta nel Kabuki, dove viene denominata Hanamichi, cioè ponte dei fiori.
Il butai, cioè lo spazio scenico, viene considerato come un mondo intermedio in cui si incontrano il mondo divino e quello umano. Ciò è dimostrato dalla sua stessa struttura architettonica che ha valenze cosmologiche: il tetto che lo ricopre lo definisce in quanto spazio sacro, e i pilastri che lo sostengono sono considerati tramiti tra il mondo umano e il mondo sovrannaturale. L'honbutai, cioè la parte centrale dello spazio scenico è collegato alla camera dello specchio (kagami no ma) da un corridoio detto hashigakari. L'hashigakari si immette nella kagami no ma da occidente, così come a occidente, nell'immaginario comune, si trova il paradiso della Terra Pura buddhista. Infine il ponte presente sul palcoscenico può essere considerato come il tramite tra il nostro mondo, rappresentato dal palco, e l'altro mondo, rappresentato dalla camera dello specchio.
Nel silenzio tombale della sala parte la scena con il suono martellante di un tamburo accompagnato da una voce forte e possente che inizia a raccontare la storia. A un certo punto, dalla penombra compare lo shite, il primo attore, che interpreta un ricco nobile ammalato il quale disquisisce sulla bellezza della vita e della natura, ma convincendosi che la sua malattia lo allontanerà da tutto questo. I suoi passi segnati marcatamente con un tonfo sul pavimento riecheggiano in tutta la sala. Quando un giorno gli offrono la speranza di essere salvato da un ipotetico maestro guaritore scopre che in realtà è un demone Hannya che con le sue ragnatele vuole catturare la sua anima per sempre. Preso da un ultimo stralcio di forze riesce a sconfiggere il demone, districandosi dalle sue ragnatele, ma non il suo destino che risulta solo rimandato.
Quello che più ci affascina è il fatto che, nonostante il viso dell'attore sia coperto dalla maschera, le espressioni facciali sono comunque ben immaginabili in funzione della storia.
La maschera dona all'azione una dinamica unica regolata dai chiari scuri delle ombre presenti sul palcoscenico.
Le maschere giapponesi sono ormai famose per via dei personaggi manga e anime che riprendono i demoni e i personaggi mitici della cultura nipponica. Spesso utilizzate a carnevale e a halloween. Ma sono anche l'emblema del teatro Noh.
È una forma d'arte poco accessibile, a differenza del kabuki che ne rappresenta la volgarizzazione. I testi del nō sono costruiti in modo da poter essere interpretati liberamente dallo spettatore e ciò è dovuto in parte alla peculiarità della lingua che presenta numerosi omofoni. È caratterizzato dalla lentezza, da una grazia spartana e dall'uso appunto delle maschere caratteristiche.
In vetrina
Questo mese abbiamo dedicato la vetrina a una scena del teatro Noh dove il personaggio è rappresentato da uno degli Dei demoni come vecchio saggio, che per testare la bontà e la generosità del cuore umano si traveste da monaco e passeggia per le via della città in cerca di viandanti generosi di carità che vengono catturati dalla luce della sua lanterna accesa...
Per i più appassionati vi alleghiamo due rappresentazioni significative che illustrano le caratteristiche delle due tipologie artistiche del teatro giapponese:
rappresentazione teatrale Noh:
rappresentazione teatrale Kabuki:
Ogni personaggio, sia del teatro Noh che del Kabuki ha una precisa iconografia e significato. Molte maschere sono anche utilizzate nelle occasioni di festa sopratutto nei tradizionali Matsuri dove troviamo personaggi più popolari come Tengu dal classico naso lungo, Yottoko con il tipico occhio strabico e la volpe Kitsune sinonimo di Dio ambiguo per la sua bontà ...
Per potervi cimentare anche voi in una rappresentazione teatrale troverete autentiche maschere tradizionali e antiche da collezionare, in legno o ceramica oppure maschere più pratiche in cartapesta o pvc per festeggiare un Carnevale fuori dal comune...
Mata ne, alla prossima pillola dal Giappone!
Con affetto, i Sakurini
Comentarios